Le dita tremano
mentre
briciole di pane
spezzato con eccessiva sicurezza
mimano una strada sospesa
nel niente.
Mi avvilisce
riunire attorno a te quello che mi sembra di aver fatto,
sono spesso stato solo lโapostolo di me stesso
e la conta dei superstiti รจ una tortura,
avrei preferito aver perso tutto.
Sarebbe stato almeno eroico.
Sono stanco dentro, lo senti o no?
Vorrei capissero che per buona fede
mi sono sbagliato
che a modo mio
li ho anche amati,
e che ho solo obbedito a un mandato,
ma cosรฌ mi faccio pena,
la vita non chiede mai dโessere giustificata,
non รจ certo lei lโassente,
e poi non sono nelle mani del nemico
ancora non ho disertato la buona battaglia
e la tortura che mi spetta รจ sopportabile.
Cosรฌ tu mi imponi di tacere
e io mi stendo tra le tue labbra chiuse,
tutto quello che ho fatto tu lo sai,
quello che era nel mio cuore tu giร lo abitavi,
per questo sono ancora qui,
Tu e solo tu,
non sei il giudice spietato del mio passato.
Cosa ho fatto, cosa ho insegnato?
Adesso che niente รจ rimasto
e cancellarli vorrei certi segni,
amerei non aver nulla da raccontare.
In disparte
era il segreto che avevo dimenticato,
invece ho disimparato dโesser dโombra
e mi sono illuso dโessere abilitato
alle risposte.
Forse qualcosa di puro รจ rimasto
proprio in disparte,
lรฌ dove tutto termina
dove lโaffanno si scioglie in riposo
e la morte รจ porto sospirato.
Se ancora respira
in me il tuo respiro
รจ per questo deserto luogo
di me in me,
รจ per questo silenzio solitario
che mi riposa dentro
e fa tacere il delirio
culturale.
Se ancora respiri in me
con tuo respiro
รจ solo per la tua compassione.
Io sono ancora uno che ti toglie il sonno
il tempo
e il pane.
Io sono solo un ladro di te,
un assillo,
io sono la marcia forzata
di chi anticipa sullโaltra riva,
io sono il tuo incubo,
la tua condanna,
tu il pastore del mio smarrimento.
Preghiera di don Alessandro Deho ispirata al brano del Vangelo di Marco 6, 30-34.