In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». (Giovanni 6)
Mormorare con saccenza
che l’umano già tutto contiene,
ridurti a modello di raffinata antropologia,
desquamarti dai riflessi lunari,
rinnegare il Cielo solo per il fatto
che non si infila
tra le righe dei nostri trattati,
spegnere le stelle,
credere a una fede meramente orizzontale
adorare l’uomo per nostra incapacità mistica,
fare dei poveri trincea,
smungere il Verbo in etica
per paura di inciampare nel paradiso.
Parlare di Giuseppe, dei padri e delle madri
solo per paura del cielo.
Perdonaci Signore
per la nostra fede razzolante
per l’umana idolatria del visibile
per la nostra dogmatica fede in noi stessi,
per tutte le volte che non sentiamo d’essere
precipitati di grazia,
semi scagliati dall’Eterno,
discendenti del Cielo.
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
Mormorare tra le righe
dottrine senza fantasia,
asfittici trattati di antropologia,
disarmare le liturgie,
impedire allo stupore di riconoscere sacra ogni cosa
questo è peccato
originale, invece
afferrare un filo d’erba e sentire che ci trascina a Dio
respirare un bacio e diventare respiro dell’Eterno
togliere gli spilli e
ridare il volo ai cadaveri d’insetto
liberare la verità dalle catalogazioni.
Sentire che ogni giorno è ultimo,
e quindi già resuscitato dal Dio della pienezza,
vivere da innamorati,
sedotti dal reale
che altro non è che l’esca amorosa dell’Amante.
Far tacere la mormorazione
di chi ancora crede che valga la pena di apparire intelligenti
e con occhi compassionevoli
tornare bambini
e lasciarsi avvolgere da uno scialle di parole
poetiche
materne.
Divine.
Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Chi viene da Dio
ha il profilo del Padre disegnato tra le pupille
porta addosso il suo profumo
cammina con la stessa andatura
dorme come dorme Dio.
Solo chi sente d’essere fatto di divino
ha l’eternità a scorrergli tra le vene
già qui (e non è solo più qui)
già ora (e non è solo più ora)
Chi viene da Dio
lo sa che non può più morire
perché è già morto,
le sue palpebre hanno già conosciuto la carezza
misericordiosa e luminosa,
i suoi occhi finalmente chiusi vedono,
e i suoi tratti,
che già hanno abbandonato la spigolosità dei vivi
nell’immobilità: danzano.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Perdonaci Signore
per il pane morto delle nostre miserie,
per le parole costrette nelle aie delle nostre ridicole sicurezze,
per la nostra paura dell’Eterno,
per quando ci accontentiamo di credere al credibile,
per quando non crediamo che tutto discenda da te,
e tutto a te ascende,
e tutto è in volo
e tu ci respiri dentro.
Perdonaci Signore per quando non crediamo
che il pane viene dal cielo.
Preghiera di don Alessandro Deho’ (link al blog) ispirata al brano del Vangelo di domenica 11 agosto 2024.