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don Alessandro Deho’ – Il segno delle nozze di Cana: Maria, Gesù e la promessa di eterna gioia

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Preghiera di don Alessandro Deho’ (link al post nel blog) ispirata al brano del Vangelo di domenica 19 gennaio 2025, Gv 2, 1-11.

Come se Maria volesse prenderci per mano,
lei, madre di ogni madre,
per accompagnarci nel luogo segreto che abita ogni nostra vita,
lo spazio inattaccabile del puro stupore,
quello provato da chi ci ha partorito il giorno della nostra nascita.

Come a ricordarci che c’è, in ognuno di noi,
forse consegnato appena dopo il travaglio,
il cristallino stupore della vita che nasce.
Basta un istante, anche solo un attimo d’amore ricevuto
per seminare in noi la nostalgia di quel momento.

Solo una madre può giurare che esiste
e persiste in noi
quello spazio d’eterna perfetta gioia,
quando la vita, accadendo,
appare evidentemente bella.

Solo lei poteva, nel cuore di una festa di nozze
che stava tramutandosi in delusione,
solo lei poteva giurare che il Figlio
era nato per trasfigurare quel lampo in tempo d’eternità.

E che anche noi eravamo nati per quello.
Che questa vita, proprio questa, è già una festa senza fine.

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino».

Non saremmo sopravvissuti all’ennesima festa sfiorita in niente,
Maria lo sapeva,
lei, voce dell’Israele antico,
solo lei poteva, nel cuore della festa,
raccogliere nella sua voce quella dei profeti,
incoronare le sue parole come fanno i re,
stenderle con la forza sacerdotale di un salmo,
solo lei poteva,
con le lacrime agli occhi,
implorare il Figlio,
per tutti noi.

(Era tempo che l’Eterno iniziasse a svelarsi
nel cuore dei nostri fallimentari tentativi di gioia.
Serviva una promessa che non solo si rinnovasse
ma che si assumesse il rischio del compimento).

Un grido,
dal cuore della festa,
era il nostro bisogno d’eternità,
di un vino infinito,
di una promessa che finalmente non franasse in delusione.

La madre a implorare il Figlio
che non ci facesse morire ancora.

E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Ma Cristo conosceva il prezzo
dello svelamento,
Cristo solo sapeva
che il compimento richiede coraggio,
il rischio deve essere totale,
l’eterno non risparmia nulla.

Solo Cristo sapeva che il Segno di Cana
avrebbe inclinato il piano fino al compimento del Calvario.

Quasi che Cristo volesse
preservarci dal dolore. Non era ancora
maturo il tempo del Cenacolo,
la cena ultima.

Ma le parole materne quel giorno furono
epigrafe del nostro infantilismo,
in Maria fummo costretti a nascere davvero,
lei aveva nuovamente inaugurato il tempo
dell’incarnazione.

Qualsiasi cosa dirà fatela, disse,
non disse credetela, non disse pregatela, non disse meditatela.
Era giunto il tempo di farsi Parola.
Di farsi Lui.
Questo il Segno: diventare Segno.

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

Le anfore erano vuote,
sfinito il tempo di credere nella purificazione rituale,
nell’illusione di una perfezione,
anche la legge chiedeva pienezza,
era finalmente giunto il tempo di
riempirsi fino all’orlo di vita,
vivere colmi di stupori,
giare profumate di linfa divina
abitati da Dio.


Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Poi lasciarsi bere,
non opporre resistenza,
farsi svuotare,
il vino in sangue,
dare tutto,
fino in fondo,
per testimoniare che il vino buono viene alla fine,
che non siamo venuti al mondo per morire
ma per nascere.

A Cana,
da quel giorno
Cristo cominciò a dissanguarsi
per trasformarci in lui,
per trasfigurarci in eternità.

don Alessandro Deho