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don Alessandro Deho’ – Desideri deserti

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Preghiera di don Alessandro Deho’ (link al blog) ispirata al brano del Vangelo di lunedì 6 gennaio 2025, Mt 2, 1-12.

È tutto qui,
tu che nasci,
e noi che accettiamo di lasciarci alle spalle il nostro oriente,
noi finalmente disorientati,
noi che adesso crediamo nelle tracce seminate da polvere di stelle antiche
come un testamento,
noi che non abbiamo più dubbi,
che tu sia nato,
ora lo sappiamo,
solo vogliamo imparare il luogo: dove?

Dove sei? Adesso, dico
dove possiamo trovarti?
Ci siamo smarriti per questo,
abbiamo percorso sentieri inediti
abbiamo mappato desideri deserti
solo per poter balbettare
con cuore commosso
il nostro bruciante bisogno di te.

(Perché, se tu non sei
noi non ce la facciamo,
a vivere, non ce la facciamo!)

Siamo venuto ad adorarti,
l’abbiamo capito ormai,
la verità
la vera verità non si apre a chi vuole comprenderti,
conoscerti, spiegarti, incontrarti,
ma solo a chi sente il bisogno di adorarti,
che è un movimento affettivo,
un portare alla bocca per baciare,
per mangiare,
che è tornare bambini,
tornare a giocare,
a balbettare,
a ridere per niente
a fidarsi ancora della gente,
a rischiare l’azzardo dell’ingenuità:
come arrivare a Gerusalemme e chiedere
di te ai tuoi assassini.

All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele"».

Ormai l’abbiamo capito Signore,
il potere immobilizza,
Erode turbato si chiude tra le mura delle sue sicurezze,
Gerusalemme trema tra le pietre
e i sacerdoti
e anche gli scribi
proprio perché sanno non comprendono.
Non possono:
dovrebbero smettere le vesti,
ripiegare ruoli e privilegi
dovrebbero rendersi irriconoscibili,
passare per irriconoscenti.

Perdere, solo perdere
questo ci salva.
Saranno zoppi
ciechi,
lebbrosi
peccatori
saranno gli ultimi
i poveri
le vedove
saremo noi quando perderemo la faccia,
saremo noi quando accetteremo di confessare che abbiamo
perdutamente bisogno di te,
saremo noi quando accetteremo di comprometterci con te
e sopporteremo
di dover vivere passando sempre da ingenui,
è il prezzo da pagare per non essere
del mondo.

Donami Signore di vedere
le fortificazioni che mi sono costruito
i bastioni religiosi dietro cui ancora mi nascondo
le sicurezze ideologiche che mi proteggono
aiutami a smascherare chi credevo amico
e perdona tutte le volte che sono stato io
sacerdote e scriba,
per quando stupidamente
ho sviato chi cercava Te
per strade che io non comprendevo.

Come in una nuova Gerico
Signore annientami
lasciami solo
e disorientato
con un pugno di stelle lanciate in aria
e un cammino sempre nuovo
dettato solo da un sogno.

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».

Io lo so di avere un Erode in me
che intuisce la verità
che abita il segreto dove tu ti sveli
che sa riconoscere i veri maestri
che ha compreso che dovrebbe imparare l’adorazione.
Io lo so di averlo dentro
un Erode che ha paura di perdere,
di tornare a perdersi,
e che altro non sa fare se non ordinare
di immolare il futuro pur di non perdere
il presente. Uccidilo,
ti prego: uccidi l’Erode che mi assedia il cuore.

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.

Poi la stella ritornerà
non c’è altra gioia
che non sia la scia luminosa di te,
non c’è altra gioia che rivedere
la luce che credevo spenta,
non c’è altra gioia che abbassare gli occhi e vedere un bambino.
Non c’è altra gioia,
grandissima gioia, se non lontano da Gerusalemme.

Così è per me la preghiera,
quando mi accorgo,
quando non sono distratto da me.
Così è quando riesco a fidarmi davvero
di te,
che mi disorienti,
che sorridi dei miei smarrimenti,

e poi mi prendi per mano,
e mi riporti a me
e mi dici: ma non lo vedi che ti nasco sempre dentro?

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

La casa,
non il tempio,
desacralizzata l’impalcatura
tutto ormai è sacro,
qui brilla l’oro del divino,
ogni carne sarà consacrata
e il profumo d’incenso invaderà l’aria delle povere cose.

Tutto ormai è sacro
questo conservo nello scrigno
mentre imparo
un’altra strada
un nuovo ritorno.

don Alessandro Deho