Il Rosario, preghiera tra le più antiche e popolari, è presentato in maniera nuova e originale. Queste pagine introducono nella contemplazione dei misteri di Gesù, riletti alla luce del Vangelo. Alle quattro serie di misteri se ne aggiunge una quinta, che contempla i «misteri della resurrezione» come vissuti dai protagonisti evangelici. In compagnia di Maria il Rosario, vissuto con il Vangelo in mano, diventa una mappa sicura per il cammino d’ogni giorno.

Dall’introduzione.

«“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14); venne ad abitare particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione». Si è reso visibile «nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce e illividisce nella morte, oppure mentre, libero tra i morti, comanda sull’inferno, o anche quando risorge il terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro sguardi».

Così san Bernardo di Chiaravalle, tutto preso dalla realtà di Dio che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi per farci conoscere e renderci accessibile Dio.

Quindi prosegue domandandosi: «Non è forse cosa giusta, pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li pensa, vi trova

Dio, vi sente colui che in tutto e per tutto è il mio Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi in contemplazione. È da spiriti illuminati riandarvi per colmare il proprio cuore del dolce ricordo del Cristo» (Discorso «De acquaeductu», Opera omnia, edit. Cisterc. 5 [1968] 282-283).

«Meditare» i «misteri» della vita di Gesù, ossia lasciarsi avvolgere, penetrare, trasformare da Gesù che si rivela e si comunica, è stato l’esercizio costante dei santi. La sua vita, le sue parole, la sua opera continuano ad essere presenti nella Chiesa e interpellano ogni cristiano. Egli domanda di rivivere i suoi «misteri», come scriveva – ma è uno tra tanti – san Giovanni Eudes: «Dobbiamo continuare e compiere in noi i misteri di Gesù e pregarlo spesso che li porti a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. Poiché essi non sono ancora compiuti nella loro piena perfezione. Se sono perfetti e compiuti nella persona di Gesù, non sono tuttavia ancora compiuti e perfetti in noi, sue membra, né nella Chiesa che è il suo corpo mistico (Ef 5,30). […] li vuole portare a compimento in noi». Quindi esemplifica: «Il Figlio di Dio ha pensato di vivere in noi il mistero della sua incarnazione, della sua nascita, della vita nascosta, prendendo forma in noi, nascendo nelle nostre anime, con i santi sacramenti del battesimo e della divina eucaristia, e facendoci vivere una vita spirituale e interiore, nascosta con lui in Dio. Ha progettato di perfezionare in noi il mistero della sua Passione, morte e risurrezione, facendoci soffrire, morire e risorgere con lui e in lui. Ha pensato di parteciparci lo stato di vita gloriosa e immortale che lui ha in cielo, facendoci vivere con lui e in lui una vita gloriosa e immortale, quando saremo in cielo» (Il Regno di Gesù, 3,4).

Quanti autori si sono cimentati nel meditare i misteri della vita di Gesù! A cominciare da Origene fino a sant’Ignazio di Loyola, dalla Scuola francese a Columba Marmion con Cristo nei suoi misteri, da Romano Guardini con Il Signore a Giuseppe Aubry con I misteri di Gesù Salvatore, fino al Gesù di Nazaret di papa Benedetto XVI.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume questa ininterrotta tradizione scrivendo: «La nostra comunione ai misteri della vita di Gesù scaturisce dal fatto che egli ha vissuto tutta la sua vita “per noi e per la nostra salvezza”. Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi» (n. 521).

Ogni cristiano, come Paolo, è chiamato «a non sapere altro se non Gesù Cristo e Cristo crocifisso» (1Cor 2,2), a «conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza» (Ef 3,19), a «imparare a conoscere il Cristo» (Ef 4,20), a «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, divenendogli conforme nella morte…» (Fil 3,10).

I misteri di Cristo nella vita dell’Oblato Sant’Eugenio de Mazenod1 si pone in continuità con il cammino della Chiesa. Nella Regola del

1818 spiega quale dev’essere l’oggetto della preghiera quotidiana a cui ogni missionario Oblato deve dedicarsi ogni sera: «Mediteremo in particolare sulle virtù teologali, sulla vita e sulle virtù di Nostro Signore Gesù Cristo, che i membri della Compagnia devono riprodurre profondamente in sé stessi», fino a «imitare in tutto gli esempi di nostro Signore Gesù Cristo», così da «cercare di diventare altri Gesù Cristo».

Egli pensa a un «pittore che copia il modello». Cosa fa l’artista? «Mette il modello nella sua luce migliore, lo guarda attentamente, lo fissa, cerca di imprimere l’immagine nel suo spirito, traccia poi sul foglio o sulla tela alcune linee che confronta con l’originale, le corregge se non sono esatta-

1 Charles-Joseph-Eugène de Mazenod fu fondatore della congregazione degli Oblati di Maria Immacolata e vescovo di Marsiglia dal 1837 alla morte nel 1861; beatificato nel 1975, è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II nel 1995.

mente conformi, altrimenti continua». Nella sua contemplazione egli fa lo stesso con Cristo l’«amabile modello al quale debbo e voglio con la sua grazia conformarmi. L’ho considerato come mio Redentore, mio Capo, mio Re, mio Maestro e mio Giudice» (1-21 dicembre 1811, Écrits oblats, 14, p. 265). Fino a «diventare altri Gesù Cristo»!

Nelle attuali Costituzione dei missionari Oblati, al n. 33, leggiamo: «Nella preghiera silenziosa e prolungata di ogni giorno, si lasciano plasmare dal Signore e trovano in lui l’ispirazione per il loro comportamento».

Sì, Gesù è il modello, l’esempio su cui lasciarsi plasmare da lui stesso: «Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi» (Gv 13,15). «Cristo vi ha lasciato un esempio, perché ne seguiate le orme» (1Pt 2,21). Fino ad avere

«gli stessi sentimenti di Cristo» (Rm 15,5; Fil 2,5), fino ad essere autenticamente «cristiani», fino a «diventare un altro Cristo».

Maria alla scuola di Gesù

Maria è stata la prima ad accogliere e custodire nel suo cuore i misteri del figlio suo. Paolo VI l’ha chiamata «Vergine in ascolto, che accoglie la parola di Dio con fede» (Marialis cultus, 17).

Vergine, innanzitutto. È il terreno buono e fecondo, privo di sassi e di rovi, che può ricevere il seme della Parola e farla fruttificare il cento per uno (cfr. Mt 13,39).

In ascolto: ascolta le parole dell’Angelo, il saluto di Elisabetta, il canto degli angeli a Betlemme, la profezia di Simeone, il giubilo di Anna, le oscure parole di Gesù adolescente, le parole di luce e insieme sempre piene di mistero del figlio diventato rabbi, a partire dalla festa di nozze a Cana fino alla croce sul Golgota. Ascolta le parole e guarda gli eventi in cui è coinvolta, primo fra tutti la sua nascita, la sua crescita in età sapienza e grazia, i miracoli, il dono supremo della vita…

Paolo VI, nella celebre allocuzione di chiusura della III sessione del concilio Vaticano II (21 novembre 1964), affermò che Maria «nella sua vita terrena ha realizzato la perfetta figura del discepolo di Cristo» e dieci anni dopo, nell’esortazione Marialis cultus, propose la vergine quale

«prima e più perfetta discepola di Cristo» (n. 35). Giovanni Paolo II ha ripetuto innumerevoli volte: essa «fu la prima dei suoi discepoli: prima nel tempo, perché già ritrovandolo nel Tempio ella ricevette dal Figlio adolescente lezioni, che conservava nel cuore; la prima soprattutto, perché nessuno fu mai ammaestrato da Dio ad un grado simile di profondità» (Catechesi tradendae, 73). Rapportando il tema del discepolato a quello

della sequela scrive ancora: «Maria madre diventa […], in un certo senso, la prima “discepola” di suo Figlio, la prima alla quale egli sembra dire: “Seguimi”, ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro».

Il prefazio della messa votiva della Vergine, che ha per titolo Santa Maria, discepola del Signore, fa lodare il Padre per le meraviglie operate in lei:

«Tutte le genti la proclamano beata, perché nel suo grembo purissimo portò il tuo unigenito Figlio; e ancor più la esaltano, perché fedele discepola del Verbo fatto uomo, cercò costantemente il tuo volere e lo compì con amore».

Maria è icona della Parola custodita e costantemente meditata. «Custodiva» (syntéreìn) gli eventi e le parole di Dio e del Figlio suo (Lc 2,19), li «conservava con cura e continuità» (diatéreìn) (Lc 2,51), li «meditava» (symbàllein) (Lc 2,19). Maria è «giardino chiuso, fontana sigillata» (Ct 4,12). Grazie alla sua verginità serba in cuore il mistero, integro e immacolato, ma non statico e inerte: medita le realtà divine custodite, ossia, come suggerisce il verbo greco, le mette a confronto, le approfondisce, ne comprende sempre meglio il messaggio, sa penetrarle, prenderle come sono, senza annacquarle, senza discioglierle, così da tradurle subito in pratica.

I misteri del Rosario con Maria

Nessuno meglio di Maria può aiutarci a meditare e a vivere i misteri della vita di Gesù. Un modo semplice è recitare con lei i misteri proposti dal Rosario e contemplarli con i suoi stessi occhi.

«Con Maria Immacolata – suggerisce la Regola dei missionari Oblati – contempleranno i misteri del Verbo incarnato, specialmente nella preghiera del Rosario» (C 36).

Senza la contemplazione, scrive Paolo VI, «il Rosario è corpo senza anima e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule» (Marialis cultus, 47).

Giovanni Paolo II, proclamando l’anno del Rosario, invita i fedeli a «contemplare con Maria il volto di Cristo» (Rosarium Virginis Mariae, 3).

Anche papa Francesco, alla vigilia del mese mariano del 2020, invita a recitare il rosario per «contemplare insieme il volto di Cristo con il cuore di Maria».

Lo si può fare in maniera semplice, fermandosi sul nome di Gesù che conclude la prima parte di ogni Ave Maria, con formule brevi come quelle che qui propongo di volta in volta. Si può quindi proseguire con la seconda parte dell’Ave Maria o riservarla per l’ultima delle dieci Ave Maria.

Offro soltanto alcuni esempi. Dopo un po’ che si è presa la dimestichezza con il pregare in questo modo, al nome di Gesù verrà spontaneo far seguire altri riferimenti biblici. Così la nostra preghiera e la nostra contemplazione si arricchiranno di sempre nuove espressioni e dimensioni del mistero di Gesù e del nostro mistero nel suo.

Le preghiere al termine di ogni mistero sono tratte dal Messale romano e dal Messale della Beata Vergine Maria.