Credere significa anzitutto fare esperienza del Dio di Gesù, non conoscere delle formule di  fede o essere edotti in una dottrina, ma diventare discepoli del Signore, il solo che ci può  parlare in pienezza di Dio e condurci a lui. Forse anche noi, come gli apostoli, siamo rimasti  affascinati dalla predicazione del Maestro che giunge a noi attraverso la Scrittura e la  testimonianza appassionata e credibile di alcuni cristiani che abbiamo incontrato nel nostro  percorso di vita. 

Così, mettendoci alla scuola della Chiesa, abbiamo conosciuto e amato il Signore e deciso  di diventare o di ri-diventare suoi discepoli con verità e gioia. 

La fede ha una dimensione comunitaria, pubblica, sociale, culturale ma, alla fine dei conti,  è sempre l’aspetto personale quello che fa la differenza. Posso essere cristiano perché i  miei genitori mi hanno iniziato alla vita sacramentale, perché mi hanno insegnato questa  religione ma, ad un certo punto, avverto l’esigenza di prendere in mano la mia fede, di fare  una scelta se continuare ad essere cristiano o meno. 

Ed è proprio la vita di preghiera, la meditazione del vangelo, la riflessione che mi permette  di accedere alla verità. 

Fino a quando la fede resta un’appartenenza esteriore, legittima e utile, certo, ma sempre  e solo superficiale, e non incide la carne nel vivo, non faccio piena esperienza di Dio. 

Per molte persone la fede è “solo” un evento sociale, si accontentano di seguire le principali  indicazioni del Vangelo e della Chiesa e di seguire, al minimo, i precetti del cristiano. Ma  per fare un salto di qualità, per diventare, infine, veramente discepoli, occorre introdursi alla  preghiera personale. 

La preghiera, però, non gode di grande fama nella cultura occidentale, essendo percepita,  quasi sempre, come una formula simil-magica che dovrebbe riuscire a farci ottenere ciò che desideriamo!  

“Pregare”, nel linguaggio comune, è addirittura diventato sinonimo di “chiedere”. In realtà non è così: la preghiera esprime la nostra relazione con Dio, per mezzo di Gesù,  nello Spirito.  

L’incontro con Dio accende in noi una nuova sensibilità, come chi apre le ali per spiccare il  volo, spalanca un modo diverso di vedere la realtà e attiva una sensibilità profonda che  deriva dall’anima. 

La preghiera, allora, non si riduce a chiedere, ma anche a lodare, contemplare,  intercedere… La preghiera diventa il modo di tenersi in contatto con Dio ma anche di restare  in unione con noi stessi: è nel profondo di noi stessi che sperimentiamo la presenza  dell’Assoluto. 

Le obiezioni che nascono quando si parla di preghiera, non ho tempo da dedicarle o non  serve a molto, meglio agire per cambiare il mondo, svaniscono quando ci poniamo nella  giusta prospettiva.  

Abbiamo il tempo di respirare? E di mangiare? Come possiamo vivere la vita spirituale se  non la nutriamo con il cibo quotidiano della Parola di Dio? E, certo, la preghiera non “serve”  se ciò significa sostituirla all’azione. Ma azione e contemplazione sono i due binari su cui  corre la nostra vita, il pensiero e la meditazione sfociano nella concretezza e le azioni e le  scelte sono interpretate in un’ottica più ampia, conosciuta grazie alla frequentazione  interiore del Signore.

Spesso chi guarda con svogliatezza alla preghiera o accampa mille scuse per non praticarla  non ha ancora avuto modo di scoprirne la bellezza. Pregare con passione significa  spalancare il cuore ad una visione diversa della vita, trovare nel silenzio e nella meditazione  uno spazio inatteso. 

Il discepolo che legge con attenzione il Vangelo nota con ammirazione la vita di preghiera  di Gesù. Gli evangelisti, Luca in particolare, descrivono, affascinati, l’intensa vita di  preghiera del Maestro.  

Come tutti, Gesù partecipa all’assemblea nella sinagoga e pronuncia le formule rituali  previste per ogni pio israelita. Ma è la sua vita di preghiera personale che colpisce e affascina i discepoli: Gesù si apparta in luoghi deserti per lungo tempo, togliendo ore  al sonno, pur di stare in colloquio intimo col Padre. Ed è la preghiera il segreto della  sua vita attiva, del suo desiderio di annuncio del Regno, della sua tenace  determinazione nell’affrontare la prova. Per questa ragione i discepoli gli chiedono  con forza di insegnar loro a pregare, così come il Battista ha insegnato a pregare ai  suoi discepoli.

Così per noi, oggi: solo imparando a pregare possiamo rintracciare la presenza di Dio nelle  nostre giornate, solo dimorando in lui riusciamo a conservare la fede e a renderla efficace  per la nostra vita. In un mondo frammentato in cui l’interiorità, prima ancora che la fede, è  messa in discussione e mortificata, presi come siamo a sbarcare il lunario, costretti a cedere  a ritmi di lavoro forsennati, è difficile conservare la fede e, con essa, la serenità. 

La sola partecipazione festiva all’eucarestia rischia di non essere sufficiente a mantenere  viva in noi la fiamma della fede: ci è necessaria l’abitudine alla preghiera quotidiana, alla  meditazione settimanale, all’incontro prolungato, nel silenzio, col Signore. Certo: non siamo monaci di clausura e viviamo nel mondo ma chi fa esperienza di preghiera,  e sa che a volte occorre molta determinazione per trovare il tempo e lo spazio mentale per  accedervi, ci testimonia il cambiamento della qualità della sua vita. Dedicare anche solo  dieci minuti al giorno (su 1440 che lo compongono, meno dell’1%!) ci permette di fissare la  meta, di orientare la vita, di capire quanto ci sta succedendo. 

Alla scuola del Maestro 

La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio o la domanda a Dio di beni conformi  alla sua volontà. Essa è sempre dono di Dio che viene ad incontrare l’uomo. La  preghiera cristiana è relazione personale e viva dei figli di Dio con il loro Padre  infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo che abita  nel loro cuore. (Compendio 534)

Non è facile parlare della preghiera, tanto meno definirla! Come il silenzio e la meditazione,  la preghiera si impara vivendola, esercitandola. Il Compendio, però, vuole essere stringente,  prova a dare una definizione della preghiera ispirandosi alla tradizione cristiana. Così  facendo descrive, più che definire, ma lascia ben intendere in cosa essa consista.  

Riprendiamo i diversi aspetti della definizione: 

Elevazione dell’anima a Dio: la preghiera ha a che fare con Dio, certo, e con noi, con la  nostra parte più intima, l’anima. 

Ciò significa che dobbiamo anzitutto accorgerci di avere un’anima e attivarla! Fa sorridere  questa affermazione eppure, a volte, siamo drammaticamente lontani dal percepire l’anima  che ci abita. Travolti dalle cose da fare, disabituati all’interiorità, già solo parlare di “anima”,  oggi, è faticoso.  

Abbiamo un’anima che ci è donata direttamente da Dio e che ci permette di rientrare in noi  stessi. Non coincide con l’inconscio e nemmeno con la capacità di autoanalisi, l’anima è la  sede delle nostre emozioni e delle nostre scelte. L’anima, quando si innalza, quando cerca  la propria origine, si rivolge a Dio e diventa preghiera. 

Domanda a Dio di beni conformi alla sua volontà: la preghiera è anche richiesta, domanda  di beni e di bene. Dicevamo più sopra che oggi la preghiera viene vista quasi solo come una  serie di richieste da rivolgere a Dio che ci può esaudire. Certo, questo aspetto è presente  nella preghiera ma bisogna chiarirsi: anzitutto la preghiera chiede i beni e il bene, non il  male. 

La preghiera non può chiedere a Dio cose malvagie. Inoltre è bene solo ciò che Dio sa  essere il bene per ciascuno di noi. Molto spesso le nostre richieste non vengono esaudite  perché, semplicemente, non sono il nostro bene. 

Dono di Dio che viene ad incontrare l’uomo: chi prega impara che la preghiera stessa è già  un dono.  

L’anima la possiamo attivare e orientare (innalzare a Dio), ma Dio stesso, in un qualche  modo, ci insegna a pregare, per poter stabilire una relazione con noi, un rapporto. 

Relazione personale e viva dei figli di Dio: non formula impersonale e asettica, non richiesta  su carta bollata, non abitudinaria reiterazione di formule. La preghiera cristiana ha a che  fare con la nostra storia, con le nostre vicende quotidiane, con la relazione, con il rapporto  interpersonale.  

Noi crediamo che Dio si relazioni con gli uomini ad uno ad uno.  

E la preghiera è rivolta a Dio come un figlio si rivolge ad un padre. Quante volte Gesù insiste  su questo aspetto! A volte Dio non ci ascolta perché sbagliamo indirizzo, rivolgiamo la nostra  preghiera ad un despota, non ad un Padre che ci conosce e sa quello che vogliono i suoi  figli… 

Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo: la nostra vita  è coinvolta nella preghiera e si rivolge al Dio comunione svelato dal Maestro: è lui che ci  insegna a rapportarci con la Trinità. Nel nome del Figlio ci rivolgiamo al Padre e lo Spirito  Santo formula in noi le parole da dire, le richieste da fare. 

Il grande orante 

Gesù è in continua preghiera (cf. Lc 5,16). I momenti più importanti della sua vita sono  accompagnati dalla preghiera: Gesù prega al battesimo nel Giordano (Lc 3,21); prima di  chiamare gli apostoli (Lc 6,12); prima della trasfigurazione (Lc 9,28). Prega per la fede di  Pietro (Lc 22,31-32) e per l’invio dello Spirito Santo (Gv 14,15-17a; 15,26). Prega prima  della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,41) e al suo ingresso trionfale in Gerusalemme (Gv 12,27). Prega il Padre nell’ultima Cena per la propria glorificazione (Gv 17,1- 5); per i  discepoli (Gv 17,6-19) e per tutti i credenti (Gv 17,20-26). Prega prima della sua passione  (Lc 22,39.46) e, al momento della morte, prega per i suoi nemici (Lc 23,34). La preghiera di Gesù è rivolta al Padre in un dialogo di obbedienza, che vivifica la sua  missione: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera»  (Gv 4,34). Questa intima comunione col Padre è sorgente di gioia e di lode: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra […]. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale  il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,25.27). 

La preghiera al Padre è il respiro della sua esistenza terrena e la sua forza interiore. Il  “segreto” della forza di Gesù è il suo legame intimo e quotidiano col Padre. 

Perché siamo chiamati a pregare? Anzitutto perché, come discepoli, vogliamo imitare il  Maestro in ogni cosa, anche nella preghiera. Non preghiamo per dovere e nemmeno per  sentirci migliori, preghiamo perché Gesù ha intessuto la sua vita di preghiera. La preghiera  diventa, anche per noi, lo spazio intimo in cui rileggere e orientare la nostra vita.  

Rivolti ad un Padre 

Gesù, come vedremo, ci consegna la preghiera del Padre Nostro, sintesi del suo pensiero,  tesoro prezioso che caratterizza il cristiano, rispondendo così, all’esplicita richiesta dei suoi  discepoli che gli chiedono di insegnar loro a pregare.  

Ma non solo le parole che egli ci consegna ci insegnano a pregare: anche l’atteggiamento  che caratterizza la vita del Maestro ci è di grande insegnamento.  

Non si può pregare il Padre con un cuore torbido, pieno di secondi fini o chiedendo cose  malvagie. Non possiamo pregare se la nostra vita è disinteressata alle cose di Dio, se ci  rivolgiamo a lui solo in caso di necessità e non nella quotidianità, se non cerchiamo anzitutto  il Regno, se chiediamo di essere perdonati senza essere disposti a perdonare.  

È ad un Padre che ci rivolgiamo, non a un despota potente e lunatico che cerchiamo di  corrompere per avere un tornaconto. Non possiamo pregare se, ignorando i consigli del  Signore, non restiamo vigili in attesa della sua venuta e ci lasciamo distrarre ed assorbire  dalle mille tentazioni che ci allontanano da lui.  

La preghiera, quindi, diventa momento sorgivo e finale di un percorso e non ha nessuna  efficacia su di noi se non siamo disposti a lasciarci cambiare. La preghiera non tenta di  convincere Dio ma di convertire il nostro cuore… 

Se, invece, diventa solo uno strumento superficiale e superstizioso per convincere Dio a  fare la nostra volontà… siamo completamente fuori strada! 

In diversi modi: le forme della preghiera cristiana 

La Benedizione è la risposta dell’uomo ai doni di Dio: 
noi benediciamo l’Onnipotente che per primo ci benedice e ci colma dei suoi doni.

Abbiamo diversi modi per pregare. Il primo, e forse anche il principale, è quello della  benedizione. Benedire è dire bene, dire-del-bene di Dio che abbiamo sperimentato essere  un Padre premuroso.  

Benedire significa individuare il lato luminoso delle cose, la parte positiva degli eventi, non  dare nulla per scontato. Si riesce a benedire solo dopo avere fatto esperienza dell’opera di  Dio per noi.  

Così come Israele sperimenta di essere “perseguitato” dalla benevolenza di Dio, anche noi  possiamo sperimentare che il Signore ci accompagna nella vita. Dio non ci risolve i problemi,  né impedisce che la nostra vita incontri momenti di fatica e di difficoltà ma se abbiamo  conosciuto e creduto nel grande progetto d’amore che Dio ha su di noi, ci viene spontaneo  parlare di lui e della sua opera e dirne del bene!

L’adorazione è la prosternazione dell’uomo, che si riconosce creatura davanti al suo Creatore tre volte santo.

Una altro modo di pregare è quello dell’adorazione.  

La parola stessa, adorare, indica il gesto di portarsi la mano alla bocca, in segno di  meraviglia e di stupore o per tacere, in segno di timore rispettoso davanti alla grandezza di  chi abbiamo dinanzi.  

Davanti alle opere di Dio siamo stupiti, davanti al mistero di un Dio che si fa uomo e si fa  pane in mezzo a noi pieghiamo le ginocchia. Adorare è un gesto adulto e virile di umiltà, di  chi riconosce il primato di Dio, di chi riconosce il suo ruolo e la sua immensa forza. 

Può essere una domanda di perdono o anche una richiesta umile e fiduciosa  per tutti i nostri bisogni sia spirituali che materiali.
Ma la prima realtà da desiderare è l’avvento del Regno.

Al Dio che benediciamo e adoriamo rivolgiamo la nostra preghiera di domanda. Ed occorre  chiedere come si chiede ad un Padre che sa già di cosa abbiamo necessità, chiedere  sapendo che Dio ci dona sempre ciò che desideriamo, anche se non è sempre ciò che  chiediamo. Chiedere con insistenza e fiducia, sapendo che mai la preghiera del fedele è  stata disattesa.  

Possiamo chiedere perdono, in un atteggiamento di sincero pentimento, quando prendiamo  consapevolezza del nostro peccato. 

Possiamo chiedere aiuto per un soccorso, per un bisogno spirituale e materiale. Non sempre  il Signore risponde come vorremmo e, soprattutto, Dio non ci tratta da incapaci, non ci lega  i lacci delle scarpe come si fa con i bambini; ci sostiene nelle cose che possiamo fare, ci  rende capaci e ci fa trovare delle soluzioni, ci aiuta ad affrontare i problemi e, quando questi  ci paiono insormontabili ed irrisolvibili, ci porta a capire che la nostra gioia non consiste  necessariamente nel risolvere quel problema… 

Quando si fa esperienza di Dio si chiede per sé e per i propri cari il bene prezioso della sua  amicizia come prima cosa e il desiderio di assistere alla realizzazione del Regno che siamo  chiamati a costruire giorno per giorno. 

L’intercessione consiste nel chiedere in favore di un altro. Essa ci conforma e ci unisce  alla preghiera di Gesù, che intercede presso il Padre per tutti gli uomini, in particolare per i peccatori. L’intercessione deve estendersi anche ai nemici.

Diventare discepoli ci permette di imitare Gesù nella preghiera per gli altri. Chiedere per sé  è una cosa buona, se chiediamo cose buone; chiedere per gli altri cose buone è ancora  meglio: ci rende simili a Cristo.  

Portare nella nostra preghiera quotidiana le persone che incontriamo, le loro attese, le loro  sofferenze, è la novità della preghiera cristiana che giunge a farci pregare per i nemici,  senza invocare la vendetta, ma la loro conversione e il loro pentimento, e ci rende degni figli  di quel Padre che fa piovere sui giusti e sui malvagi.

La lode è la forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio. È  completamente disinteressata: canta Dio per se stesso e gli rende gloria perché egli è.

Come l’innamorato esulta di gioia ed è travolto dalla positività del proprio sentimento, ci  sono dei momenti preziosi e delle situazioni che ci avvicinano a Dio in un modo talmente  inebriante e intenso da farci lodare Dio per la gioia di lodarlo. È una preghiera straordinaria,  il vertice della preghiera, che a volte lo Spirito riserva al discepolo che si è affidato a Dio e  che ha fatto esperienza della sua immensa misericordia. 

La tradizione cristiana ha conservato tre modi per esprimere e vivere la preghiera: la  preghiera vocale, la meditazione e la preghiera contemplativa.
Il loro tratto comune è il raccoglimento del cuore.

Normalmente il termine “preghiera” rimanda alla forma vocale: l’espressione della nostra  fede, della lode o la richiesta di aiuto che facciamo attraverso delle formule consegnateci  dalla tradizione cristiana.  

Ma la preghiera assume diverse forme, come ben ci ricorda il Compendio. 

La preghiera personale quotidiana è essenziale alla vita cristiana ma nel ritmo frenetico dei  nostri giorni è davvero impegnativo riuscire a ritagliarsi del tempo da dedicare al silenzio,  anche solo per qualche minuto. 

Sono molti i modi di pregare e ognuno sceglie la tipologia di preghiera che maggiormente  lo aiuta, che lo pone nel cuore di Dio, che gli permette di scoprire, all’interno della propria  vita, la presenza del Signore. 

La preghiera nutre la nostra vita e la illumina come se, passeggiando per le strade della  nostra città, aprissimo un tombino per scoprire che sotto i nostri piedi scorre l’oceano. La  preghiera ci aiuta ad allargare l’orizzonte, a situare le nostre piccole e grandi vicende nel  benevolo progetto di Dio. 

Alcuni, nella Chiesa, sono chiamati a dedicare molto tempo alla preghiera, ad una vita in cui  la meditazione, il silenzio, lo studio diventano centrali. Sono i monaci e le monache che da  sempre indicano al popolo cristiano il primato di Dio. 

Altri sono chiamati a sostenere l’attività di evangelizzazione con un impegno quotidiano, la  Liturgia delle Ore, che utilizza i Salmi e le letture bibliche. Anche alcuni laici si uniscono a  questo tipo di preghiera che scandisce i momenti della giornata. È bello sapere che mentre  recito un Salmo al mattino o prima di coricarmi certamente qualcun altro sta pregando con  le mie stesse parole a migliaia di chilometri! Ci fa sentire Chiesa. 

Ma per i laici che vivono nel mondo è difficile poter recitare i Salmi o partecipare  all’Eucarestia feriale…  

Ogni credente, però, è chiamato a ritagliarsi un momento di preghiera. È lo Spirito a  suggerire i tempi e i modi.  

Mi permetto di suggerire alcuni elementi essenziali ad ogni tipo di preghiera. 

  • La preghiera ha anzitutto bisogno di “me”.  

Del “me” autentico: davanti a Dio non posso mettermi una maschera, o fare il devoto,  davanti a lui possiamo essere noi stessi fino in fondo, Dio non ci giudica.  Perciò posso pregare anche se non ne ho voglia o se sono arrabbiato con me stesso  o con Dio. I Salmi sono pieni di momenti di tensione e di lamentela verso Dio!  

  • La preghiera ha bisogno di un tempo.

All’inizio bastano cinque minuti ogni giorno. Meglio scegliere il tempo migliore, quello  in cui riusciamo a stare da soli, senza cellulari o confusione. Scegliamo il tempo, se  ci è possibile, in cui siamo più in forma: al mattino se abbiamo la pressione alta e  siamo mattinieri, la sera se siamo più attivi in quel momento, a metà giornata se in  quel momento siamo già sufficientemente svegli e non ancora troppo stanchi… 

  • La preghiera ha bisogno di un luogo. 

È utile creare un angolo specifico in casa dove poterci mettere la Bibbia, un’icona,  una candela, magari una nostra brutta foto di quando siamo arrabbiati: così possiamo  affidare al Signore anche il bambino capriccioso che c’è in noi. Se non si riesce a  pregare in casa possiamo inventarci dei luoghi inusuali, delle cappelle  estemporanee: la macchina mentre si va in ufficio (diverse radio cattoliche  trasmettono la Messa o, almeno, le letture del giorno), la metro, il triste giardinetto  vicino all’ufficio in cui – novelli carbonari – ci isoliamo per dieci minuti dopo aver  consumato il panino durante la pausa pranzo. Ogni luogo può divenire tempio!  

Certo che non sarebbe male, specie nelle grandi città, trovare anche qualche chiesa  aperta in centro dalle 7 alle 22! 

  • La preghiera ha bisogno di una parola da dire. 

Parole dette col cuore: per affidare la vita, per raccomandare le persone che  incontriamo, per chiedere un aiuto, per dire tutto il nostro malumore, per cantare il  grazie, per tacere, per prendersela con Dio.  

Una parola vera, non la lista della spesa: una parola che venga dal profondo del  cuore. 

  • La preghiera ha bisogno di una Parola da ricevere. 

Quella che Dio ci dona, prima o dopo le nostre parole.  

Personalmente preferisco e suggerisco la Parola del giorno: ovunque troviamo dei  messali tascabili, quelli “usa e getta” comodi da tenere nella borsetta o in tasca. Si  trovano le letture che, in ogni parte del mondo, saranno lette durante la messa di quel  giorno. È bellissimo sentirsi in comunione con un cinese o un missionario in Africa,  con un russo o con una suora di clausura! 

Quella è “la” Parola che Dio ti dona in quel giorno. Forse non la capiremo subito, ma  è quella che Dio ci dona e che, messa nel cuore, porterà frutto. 

Possiamo concludere con un salmo, magari quello del giorno o con il Padre Nostro,  o affidarci alla Madre.  

Pochi momenti che possono fecondare la nostra giornata. 

La preghiera vocale associa il corpo alla preghiera interiore del cuore. Anche la più  interiore delle preghiere non potrebbe fare a meno della preghiera vocale. In ogni caso  essa deve sempre sgorgare da una fede personale. Con il Padre Nostro Gesù ci ha  insegnato una formula perfetta di preghiera vocale.

Si sperimenta e si dice, si comunica, si canta.  

La preghiera del cuore trova sfogo nella voce, esce per dare forma a ciò che portiamo in noi  stessi. Possiamo usare alcune preghiere della tradizione cristiana o inventarle noi. La  preghiera che ci ha insegnato Gesù è la preghiera vocale perfetta, equilibrata e profonda,  che, se recitata col cuore, spalanca la nostra vita a prospettive infinite.

Che la preghiera vocale sia recitata con verità, pensando alle parole che stiamo  pronunciando. È brutto vedere biascicare le preghiere o credere di essere ascoltati per le  molte parole!  

Se si prega comunitariamente è bene imparare a pregare tutti insieme, senza urlare, senza  frettolosità o lungaggini, perché anche la preghiera diventi corale, fatta da un unico cuore,  manifestando l’unità delle diverse persone che trovano, in Cristo, lo stesso ritmo per lodare  Dio in un cuor solo e un’anima sola. 

Quando celebriamo l’Eucarestia ci accorgiamo subito se chi prega pensa e crede alle parole  che sta pronunciando! Il criterio è sempre quello della verità: le parole che pronunciamo  illuminano e scaldano la nostra vita. 

La meditazione è una riflessione orante, che parte soprattutto dalla Parola di Dio nella  Bibbia. Mette in azione l’intelligenza, l’immaginazione, l’emozione, il desiderio, per  approfondire la nostra fede, convertire il nostro cuore e fortificare la nostra volontà di  seguire Cristo. È una tappa preliminare verso l’unione d’amore con il Signore.

Il rischio di ridurre la preghiera alla sola espressione vocale e mnemonica, alla ripetizione  di formule (che portano alla santità se vissute come consapevole atto d’amore!) è sempre  presente.  

Il rischio è quello di scivolare nel formalismo, nell’esteriorità, si pensa di essere credenti per  le molte preghiere, per la velocità con cui si aggiungono le varie devozioni.  Sarebbe già bello tornare a vedere nelle nostre comunità un po’ di equilibrio nelle devozioni!  Da questo punto di vista la liturgia della Chiesa, l’unico autentico punto di riferimento, è  equilibrata e senza sbavature, non aggiunge alla preghiera formule devozionali, non impone  manifestazioni di fede estemporanee legate alle presunte rivelazioni del veggente di turno.  A volte, soprattutto fra le persone più devote, si ha l’impressione che la fede si misuri dalla  quantità di nuove preghiere alla Madonna e ai Santi che si riescono a scovare! 

Abbiamo già parlato, in questo nostro piccolo percorso di riscoperta del Compendio, del  fatto che una persona orante che vive contraddicendo ciò che professa è di grande  scandalo: la qualità e la verità della preghiera si misura dalla coerenza, almeno cercata,  della vita! 

Ci sono persone semplici, magari anche illetterate, che vivono una splendida vita interiore  nutrita da sole preghiere vocali, recitate con autenticità e devozione.  

Ma per gli altri, i molti altri che hanno la fortuna di avere una cultura media, è bene ricordare  che la preghiera vocale non è che un modo, una tappa (di partenza o di arrivo dipende da  ciascuno!) per penetrare il mistero di Dio. 

Da sempre la tradizione cristiana propone lo strumento della meditazione della Parola di Dio  come percorso per una più piena consapevolezza della propria fede.  

Certo: la lettura della Parola di Dio è impegnativa e, almeno per ì alcune sue parti, richiede  un minimo di preparazione e conoscenza per essere avvicinata nel modo corretto. Ciò non  toglie che molte pagine della Bibbia in maniera più semplice possono essere lette e meditate  con profitto per la nostra vita. 

Una lettura approfondita, magari accompagnata da una breve introduzione tecnica (è Parola  di Dio che passa attraverso la parola degli uomini!) che mette a fuoco il significato di quello che stiamo leggendo è il punto di partenza. Cosa sta dicendo quella Parola a chi la legge?  Perché è stata scritta? 

A partire dal testo possiamo poi chiederci: cosa sta dicendo questa Parola a me? Ci sono  numerosi libri di spiritualità che possono aiutarci ad attualizzare la Parola, a farne una  esegesi spirituale (cfr. DV 12), cioè una lettura nello Spirito Santo che l’ha ispirata.  

Possiamo poi far diventare la meditazione una preghiera: se ad esempio leggendo l’invito  alla fiducia fatto da Gesù nel vangelo ci accorgiamo della nostra poca fiducia… allora  possiamo chiedere al Signore di far crescere la nostra fede, e invocare lo Spirito che ci aiuti  ad abbandonarci alla benevola volontà di Dio. 

Infine la meditazione diventa azione: nella concretezza delle mie scelte provo ad applicare  ciò che ho colto dalla lettura approfondita del testo biblico. 

La meditazione della Parola di Dio ci aiuta a comprendere la Scrittura che, come una spada  a doppio taglio, ci penetra in profondità. Possiamo anche dedicare un fine-settimana ad un  corso di esercizi spirituali dove si medita la Parola di Dio aiutati da un esperto di spiritualità  che, oltre ad offrirci una chiave di lettura di un testo, ci introduce al metodo della  meditazione. 

Chi medita con costanza la Parola di Dio ne prova grande beneficio e cammina  speditamente nella vita interiore! 

La preghiera contemplativa è un semplice sguardo su Dio nel silenzio e nell’amore. È un  dono di Dio, un momento di fede pura, durante il quale l’orante cerca Cristo, si rimette alla  volontà amorosa del Padre e raccoglie il suo essere sotto l’azione dello Spirito.  Santa Teresa d’Avila la definisce un intimo rapporto di amicizia, «nel quale ci si intrattiene  spesso da solo a solo con Dio da cui ci si sa amati».

Al discepolo che vive con passione il cammino della luce, che partecipa alla vita della  comunità, che cerca di vivere con verità il messaggio evangelico, che medita la Parola con  costanza, che feconda la propria giornata con la preghiera quotidiana il Signore dona, a  volte, di sperimentare la preghiera contemplativa. È la preghiera dei mistici, autentico dono  dello Spirito, che consiste nello sperimentare la presenza di Dio in Cristo.  

In un momento di adorazione eucaristica, durante una celebrazione, durante una veglia di  preghiera, nella preghiera personale… ma anche in una passeggiata in montagna o in un  intenso colloquio spirituale possiamo essere sfiorati dalla bellezza di Dio, dal mantello della  sua gloria. 

Allora non ci sono più parole, né preghiere da recitare, né meditazioni da compiere, ma la  beatitudine della effettiva presenza di Dio.  

Ciò avviene, come diceva sant’Agostino, raptim, fugacemente.  

Che il Signore doni ad ogni discepolo la gioia di sperimentare la preghiera contemplativa  che incide nell’intimo e che forgia i Santi! 

Le difficoltà

La preghiera è un dono della grazia, ma presuppone sempre una risposta decisa da parte  nostra, perché colui che prega combatte contro se stesso, l’ambiente, e soprattutto contro  il Tentatore, che fa di tutto per distoglierlo dalla preghiera.
Il combattimento della preghiera è inseparabile dal progresso della vita spirituale.  Si prega come si vive, perché si vive come si prega.

Proprio perché la preghiera ci è essenziale per la vita spirituale, proprio perché attraverso  di essa riusciamo a stabilire un contatto profondo e intimo con Dio ci è così difficile. Difficile  perché deve combattere con la distrazione continua della nostra vita, con il fatto che, negli  ultimi decenni, la qualità della vita è drasticamente peggiorata: pur vivendo meglio dal punto  di vista alimentare e del benessere, il nostro tempo si è ridotto e il rumore e la fretta stanno  avvelenando le nostre emozioni.  

È più semplice coltivare la propria interiorità se si vive a contatto con la natura con un lavoro  impegnativo ma con ritmi più consoni alla riflessione! Lo vediamo anche nelle relazioni  interpersonali: spesso manca tempo per riflettere, per confrontarsi pacatamente, per stare  insieme… non facendo nulla di particolare! 

Ritagliarsi dei tempi per sé, per nutrire la propria anima, anche solo per accorgersi di averla!,  è diventata una vera impresa! Perciò è un combattimento trovare del tempo per la preghiera,  un tempo che non sia un’ennesima aggiunta alle cose da fare, un ulteriore impegno da  incastrare fra una riunione e l’altra. 

Ma esiste un aspetto più profondo, che fa parte della lettura della realtà proposta dalla  Scrittura. Dio è l’infinitamente buono, l’amabile e il misericordioso. Esiste, però, una realtà  oscura, malvagia, che spinge il creato verso la distruzione: è il tentatore, il demonio, il  diavolo.  

Diavolo: colui che divide, colui che ci allontana da noi stessi e da Dio. La Rivelazione ci dice  che il diavolo è un angelo decaduto che opera contro Dio e i suoi figli. Da lui derivano il male  e il dolore. 

È faticoso, oggi, parlare con correttezza del demonio: da una parte una certa cultura ne ha  fatto un eroe romantico, terribile e affascinante. I mezzi di comunicazione attingono alla  nostra curiosità e si scatenano riguarda al demoniaco: film, inchieste, musica… ciò che è  oscuro attrae, soprattutto i giovani e le anime fragili. Anche fra i cristiani, purtroppo, ci sono  persone più attente a parlare del demonio che di Dio! 

La tradizione biblica è molto equilibrata, a questo proposito: il diavolo c’è e agisce, non è  orribile come lo dipingono, ma affascinante e seducente e sa proporre la tentazione come  una soluzione ragionevole ai nostri dubbi. Gesù stesso si è confrontato con lui nel deserto  e ha saputo respingerlo proprio grazie alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio.  Ma, e questo è essenziale, il demonio è un avversario: in quanto tale si può combattere e  sconfiggere! 

Non dobbiamo pensare alle grandi tentazioni, quelle lasciamole ai santi… Per noi la tentazione ha il volto della pigrizia, della distrazione, dell’obiezione all’utilità della  preghiera. Poiché la preghiera e la meditazioni possono cambiare in meglio la nostra vita,  l’avversario farà l’impossibile per tenercene a debita distanza! 

Perciò la preghiera è anche una fatica. 

La fatica della fedeltà che esprime l’amore. 

Così come una madre sente il peso della fatica nell’alzarsi ogni mattina per preparare i figli  ad andare a scuola, ma lo fa per esprimere il suo amore per loro, dimenticando se stessa,  così la nostra fedeltà alla preghiera, anche se affaticata e distratta, testimonia il nostro  desiderio di compiere fino in fondo l’amorevole volontà di Dio…

La perseveranza nella preghiera, la fedeltà e la costanza ci aiutano a progredire nella vita  interiore. Se la preghiera è autentica cambia la nostra vita, le nostre scelte, il nostro modo  di affrontare le situazioni: scopriamo in noi stessi il pensiero di Cristo. 

Le obiezioni 

La preghiera personale vissuta con autenticità ci spinge alla conversione: le obiezioni alla  preghiera nascono dalla consapevolezza che stiamo parlando di qualcosa di molto  impegnativo e definitivo! 

Come diceva scherzosamente sant’Agostino: Signore convertimi, ma non oggi! 

Non abbiamo tempo di pregare: certo, se Dio è all’ultimo posto dei nostri pensieri non  troveremo mai tempo, come ci si dimentica di telefonare a quel parente noioso e petulante!  Ma se Dio è come l’innamorato che corteggio allora il tempo lo trovo miracolosamente! E  anche se è poco, è un tempo qualitativamente intenso, che feconda la giornata. 

A volte pensiamo che la preghiera sia inutile: certo, se preghiamo solo nel momento di  necessità tempestando Dio di richieste e sperando che ci esaudisca, difficilmente  sperimenteremo in essa un aspetto positivo! La preghiera non serve a convincere Dio a fare  quello che vogliamo noi, ma a convertire il nostro cuore! La preghiera non è mai inutile, a  volte non ottiene ciò che chiede ma sempre ciò che desidera!  

Ci vogliono tempo e tenacia per imparare a pregare, per trovare un metodo che ci aiuti  veramente a entrare in sintonia con Dio. A volte bisogna fare i conti con momenti di fatica e  di stanchezza, di aridità e di sconforto. Come tutte le cose importanti, pregare richiede  costanza e impegno: abbiamo a che fare con Dio! Un cuore umile, cioè concreto e fecondo,  sa aspettare lo Sposo anche se tarda… 

Quali sono le difficoltà della preghiera? 

La distrazione è la difficoltà abituale della nostra preghiera. Essa distoglie dall’attenzione a  Dio, e può anche rivelare ciò a cui siamo attaccati.  
Il nostro cuore allora deve tornare umilmente al Signore.
La preghiera è spesso insidiata dall’aridità, il cui superamento permette nella fede di  aderire al Signore anche senza una consolazione sensibile. L’accidia è una forma di pigrizia spirituale dovuta al rilassamento della vigilanza e alla mancata custodia del cuore.

La principale difficoltà della preghiera resta la distrazione, soprattutto nella preghiera vocale  ripetitiva. Addirittura durante l’Eucarestia possiamo inserire il pilota automatico e arrivare in  fondo alla celebrazione senza avere ascoltato una sola delle parole che abbiamo  pronunciato! 

La distrazione è inevitabile: inutile illudersi. 

Per spiegarla un monaco mi raccontava di un signorotto che discuteva col suo mezzadro. Il  primo sosteneva l’impossibilità della preghiera senza distrazione, il secondo affermava che  fosse possibile pregare senza distrazione. Alla fine il signorotto sfidò il suo amico: se sarai  capace di recitare un solo Padre Nostro senza distrazione, ti regalo il mio cavallo. Il  contadino, stupito, accettò la sfida, chiuse gli occhi, giunse le mani e cominciò: Padre  Nostro, che sei nei cieli… ma mi dai anche la sella?

Come fare a superare la distrazione?  

Anzitutto occorre prepararsi alla preghiera, fare uno stacco anche solo di qualche minuto  per metterci alla presenza di Dio, per entrare nel tempio interiore.  

Se qualche evento ci distrae e compare continuamente alla nostra mente ci svela cosa è  veramente importante per noi. A quel punto è opportuno portare la distrazione nella  preghiera: quella battuta che mi ha fatto star male cosa rivela? Perché me la sono presa  così tanto? Chiedo al Signore di crescere nell’umiltà e nella pazienza e gli affido la persona  che mi ha ferito… 

Una difficoltà che sopraggiunge quando abbiamo un’intensa vita di preghiera è l’aridità. La  preghiera non ci affascina più, il nostro cuore è pesante, non prova nessuna emozione,  nessuna gioia, la Parola sembra non dire più nulla. E la sofferenza è tanto più intensa  quanto, in passato, abbiamo gioito ed esultato meditandola!  

La distrazione diventa costante e anche i pensieri malevoli, i dubbi rabbiosi si affacciano  alla porta del cuore. Non solo siamo distratti ma giudichiamo il vicino di banco per il suo  atteggiamento, siamo insofferenti al sacerdote che celebra… L’aridità è un momento  davvero faticoso che ci può allontanare dalla preghiera. 

Molti santi, nel momento di massima vicinanza a Dio, sono piombati nell’aridità spirituale:  san Francesco, san Filippo Neri, santa Teresa d’Avila (aridità spirituale da monaca di  clausura, non oso immaginare nulla di peggio!). 

Eppure proprio loro ci insegnano che l’aridità spirituale ci può essere di enorme beneficio:  l’aspetto sensibile, emotivo, gratificante del nostro rapporto con Dio scompare e ci ritroviamo  a credere per ciò che Dio è e non per ciò che dà! 

Esiste un’ultima difficoltà: quella della pigrizia spirituale, dell’accidia, che colpisce i discepoli  di lungo corso, i religiosi, i devoti. Abituati a pregare, adagiati sulle proprie convinzioni e  sulla propria raggiunta pace interiore, si rischia di non avere più stimoli, di sentirsi sempre  nel giusto, di mettere il proprio ego spirituale al centro della propria preghiera. In quel  momento non è più il peccato a spaventarci, ci sentiamo sicuri nelle nostre scelte, non ci  sono più grandi dubbi. E si muore spiritualmente… 

La Scrittura è terribile: Dio preferisce il dubbioso al fintamente devoto, il tiepido lo vomita  dalla sua bocca.  

Chiediamo al Signore di essere sempre stimolati, di non adagiarci, di avere qualche amico  che, anche con fermezza e durezza, ci richiami all’essenziale, al bene autentico.

La preghiera cristiana – A cura di Paolo Curtaz